L'Inferno é uno stato dell'anima.
Ci sono stata in questi giorni.
Ora, però, son tornata, grazie a Dio.
Ricorderò per sempre la pura angoscia che mi stritolava il cuore il giorno prima dell'intervento, l'ansia per i 4 km nel centro di Firenze fatti in due ore di auto imbottigliati nel traffico e che rischiavano di farci arrivare in ritardo per il ricovero. Ricorderò il tuo pianto mentre ti attaccavano flebo, elettrodi, saturimetri senza che capissi cosa stava succedendo; io potevo solo farti sentire la mia voce ma non spiegarti quello che ti sarebbe accaduto. E lì imparavo a conoscere la frustrazione.
Ricorderò per sempre il momento in cui ti ho accompagnato in sala operatoria. I tuoi grandi occhioni blu si guardavano, placidi ed ignari, tutt'attorno fino a quando l'anestesista ti ha appoggiato la mascherina per la totale sulla bocca...son bastati due minuti a farteli chiudere ed ad abbandonare la presa della tua piccola manina dalla mia. Sono state due ore interminabili, papà ed io abbiamo pregato, ci siamo abbracciati ed abbiamo fatto solo ciò che potevamo: attendere. Aspettare che quella grande porta di ferro si aprisse per far uscire il neurochirurgo. Eccolo, é uscito. Sorride. BENE. Dice che l'intervento si é concluso perfettamente. Prima boccata d'ossigeno che ci arriva al cervello, comincio ad essere meno offuscata e confusa. Aspettiamo il tuo risveglio che arriva con un pianto disperato, perso, smarrito, mai sentito prima. Appena senti la mia voce ti calmi, facendomi sentire utile. Passo tutta la notte a calmare i tuoi risvegli spaventati e doloranti. Come tutte le notti, anche quella é passata. Comincia la tua ripresa: la mattina ti tolgono il catetere, le flebo, il saturimetro e tutto il bendaggio che hai in testa. Scoprono la cicatrice, lunga tutta la tua testolina. Diventerà meno gonfia, meno rossa, meno visibile. Penso a questo per cercare di non svenire. Quando, invece, hanno cercato di grattare le croste di sangue dalla ferita con una pinzetta, ecco, lí sono diventata bianca come un lenzuolo, tanto che l'infermiera mi ha accompagnato a sdraiarmi. É vero, non volevo mollare ma avrei sicuramente vomitato o sarei svenuta, ero troppo stanca, avevo l'influenza e avevo lo stomaco troppo chiuso per mangiare sufficientemente in quei giorni. Per fortuna il tuo papà é riuscito a tenerti fermo e a finire il lavoro. Siete stati bravissimi e molto forti. Tu più di tutti noi.
Quanti ricordi mi porterò dentro. Ricorderò ogni lacrima che mi é scesa sentendo piangere disperatamente le mamme nei bagni, ricorderò ogni storia che ho sentito in quell'ospedale, ricorderò ogni sorriso di speranza, ogni visino di bimbo reso paziente dalla sofferenza, bimbi così non se ne vedono in giro.
Da oggi torno ad essere me stessa, ma non proprio uguale a prima, sento che ho aggiunto qualcosa.
Ben tornato a casa mio piccino.